mercoledì, giugno 01, 2005

Quello che la Francia ci può insegnare

La Francia ha votato no al trattato costituzionale europeo. L'Olanda farà altrettanto oggi. In molti si preoccupano di quello che vorrà dire per il futuro dell'Unione, di come aggirare il "non" di Parigi. Ma fare questo vuol dire essere cechi, non saper guardare oltre il proprio naso.
Ribaltiamo la questione. Analizziamo com'è maturato il no.
Primo: decine di milioni di francesi hanno analizzato il trattato costituzionale articolo per articolo, si sono confrontati con un testo di 349 pagine (nell'edizione italiana) pieno di stranezze giuridiche, di giri di parole fatti apposta per consentire qualsiasi interpretazione, di caro, vecchio, italico burocratese.
Secondo: quando diciamo che i francesi hanno discusso, intendiamo dire: il barsita, l'idraulico, l'impiegato. Certo i grandi nomi della politica si sono spesi (Chirac, Hollande, ....), qualche starlette del cinema e della canzone, gli intellettuali, ma il loro peso è stato limitato. Oggi a due giorni dal referendum c'è chi può dire di aver vinto, ma nessuno può attribuirsi qualche merito o paternità. Il premier Raffarin, che pure è stato costretto a dimettersi per una questione di facciata, paga per tutti senza alcuna colpa specifica.
Terzo: i francesi sono andati a votare in massa. Non solo hanno discusso, non solo hanno preso una posizione, ma hanno scelto di far contare la loro opinione. Il 70% dei votanti su un referendum per il trattato costituzionale è un successo della democrazia e della partecipazione.
Si può discutere se i francesi abbiano preso la decisione migliore, ma almeno hanno preso una decisione, in modo cosciente, consapevole e informato.
Ed è per questo che dalla Francia c'è da imparare. Sulle grandi questioni non bisogna avere paura di coinvolgere gli elettori. E soprattutto bisogna avere il coraggio di andare "à la guerre comme à la guerre": per vincere e non per fare perdere l'avversario, magari cercando di non far raggiungere il quorum.
La differenza con il referndum del 12 e 13 giugno in Italia è evidente. Anche qui abbiamo una materia ostica e tecnica - letteralmente "norme in materia di procreazione mediacalmente assistita" - ma invece di aprirsi, il dibattito si assopisce. La legge 40 del 2004 non l'ha letta nessuno. Al (non) voto si andrà in modo ideologico. Quelli che sono contrari - i cattolici - , invece di contarsi, sceglieranno il non voto. Quelli che sono favorevoli - i laici - andranno a votare e voteranno 4 sì, a prescindere. La maggior parte degli italiani - quelli che pensano "ma per fare un figlio non bastava scopare?" - andrà al mare. Se c'è un Dio, almeno che piova.
Sarà con ogni probabilità un occasione persa per discutere sul concetto di vita (quando inizia la vita e quando la vita umana?), sui limiti e le potenzialità della ricerca scientifica, sul diritto o meno di aver un figlio anche quando "natura non mi ha dato".
Ma in fondo chi se ne frega, tanto il prossimo anno il campionato di calcio si gioca lo stesso. E d'estate ci sono pure gli europei.